via Reginaldo Giuliani, 374 Firenze

UN’ORA D’AMORE giovedì 13 febbraio ore 21:30 – lingua originale con sottotitoli


Leandro Giribaldi presenta, per la rassegna Ernst Lubitsch

UN’ORA D’AMORE (One Hour With You, 1932)

REGIA: Ernst Lubitsch

SOGGETTO: dall’opera teatrale  Only a Dream di Lothar Schmidt

SCENEGGIATURA: Samson Raphaelson

FOTOGRAFIA: Victor Milner

MUSICHE: Oscar Straus, Richard A. Whiting

PRODUZIONE: E. Lubitsch per Paramount

INTERPRETI: Maurice Chevalier, Jeanette MacDonald, Genevieve Tobin, Charles Ruggles

ORIGINE: USA; DURATA: 76’

In un parco pubblico di Parigi una retata della buoncostume fa allontanare le coppiette che si erano appartate. Fra queste ci sono il dottor André Bertier (Chevalier) e Colette (MacDonald) che, contrariamente a tutte le evidenze, sono una coppia sposata.

I due si trasferiscono allora presso la propria abitazione, precisamente in camera da letto dove cantano – alla lettera – la felicità dell’amore coniugale fino a che… Colette non annuncia per l’indomani la visita di Mitzi, vecchia compagna di scuola…

Alla quarta commedia musicale in quattro anni Lubitsch, forse un po’ stanco del genere e impegnato con le produzioni Paramount, aveva affidato inizialmente la regia di Un’ora d’amore a George Cukor.

Ma il film era il remake del suo Matrimonio in quattro (The Marriage Circle) del 1924 e Lubitsch, scontento del materiale girato da Cukor, lo riprese rapidamente in mano, rigirando quasi tutte le scene. Lo stile allusivo ed ellittico del “maestro dei sottintesi eleganti”, come Lubitsch era stato definito, raggiunge così in Un’ora d’amore una delle sue apoteosi prima del Codice Hays.

Ritorna la coppia Chevalier-MacDonald perfettamente integrata nei girotondi lubitschiani. E di nuovo Lubitsch fa rivolgere Chevalier alla macchina da presa, come nel suo primo film sonoro, Il principe consorte, nel malizioso tentativo di coinvolgere lo spettatore nei dubbi del suo protagonista, fedeltà o infedeltà alla sua Colette-MacDonald: «E voi cosa avreste fatto da soli al buio con Mitzi? Quello che ho fatto io!».

L. Giribaldi


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