
ANGELO (Angel,1937)
REGIA: Ernst Lubitsch
SOGGETTO: Guy Bolton e Russell Medcraft, da una commedia di Melchior Lengyel
SCENEGGIATURA: Samson Raphaelson
FOTOGRAFIA: Charles Lang
MUSICHE: Frederick Hollander
PRODUZIONE: Ernst Lubitsch per Paramount
INTERPRETI: Marlene Dietrich, Herbert Marshall, Melvyn Douglas
ORIGINE: USA; DURATA: 91’
A Parigi, dove si trova in incognito, Lady Mary Barker (Dietrich) si reca nell’elegante ma equivoco salotto di una “vecchia amica”, la sedicente granduchessa Anna, esule dalla Russia comunista. In una stanza del club incontra Anthony Holton (Douglas), un gentiluomo inglese in cerca di avventure, il quale la scambia per la granduchessa e la invita a cena. Lei prima si nega e poi accetta, senza rivelare mai il suo vero nome.
Molto assorbito dai compiti di direttore di produzione della Paramount, Lubitsch torna a dirigere un film interamente suo a tre anni di distanza (e dall’insuccesso) de La vedova allegra (1934).
Così Lubitsch mette in scena un triangolo, al cui centro ancora una volta c’è una donna, una Dietrich ormai discesa sulla terra dai miti divistici di von Sternberg, ma non per questo dotata di meno fascino e mistero.
Straordinario esempio di commedia sofisticata ambientata fra Parigi e Londra (si parla sempre di tradimenti e adulteri, il codice Hays è pienamente in vigore ed è meglio prendere le distanze!) Angelo è uno dei capolavori della maturità lubitschiana.
Nel film, in realtà enigmatico e sfuggente, si ritrova il touch di Lubitsch in ogni scena, in ogni dettaglio, nelle ellissi narrative, nella chiusura delle porte (cosa succederà mai dietro quelle porte?), nell’allusività dei dialoghi, in quel tono ironico e divertito che nasconde una malinconia di fondo. Formalmente perfetto, nel ritmo, nella recitazione, in ogni inquadratura perché, come diceva Lubitsch: “Ci sono tanti modi di piazzare la macchina da presa, ma in realtà ce n’è uno solo.”
L. Giribaldi